martedì 21 agosto 2012

Il balcone di Assange

C'è un omino canuto e distinto che si presenta su un balconcino, su uno strapuntino che per il diritto internazionale rappresenta un paese sudamericano, l'Ecuador, e che, sempre per tale diritto, lo protegge come una impenetrabile fortificazione. L'omino è il paladino della Teoria del Complotto, quell'Assange che ha alzato il velo su tonnellate di documenti scottanti/compromettenti non solo per l'amministrazione USA; e poco importa se, per farlo, ha violato una lunga serie di leggi e norme; questo e altro in nome della Verità...
Da lì tuona contro il tanned Obama: "basta con la caccia alle streghe... lasciatemi un po' in pace"... Da lì chiede alla Svezia, che lo vuole estradire per reati sessuali (tutto da provare of course), di non consegnarlo nelle mani dei cattivoni a stelle e strisce, che sicuramente, come nei migliori film di spionaggio holliwoodiani, gli metterebbero subito un cappuccio nero in testa e lo farebbero sparire per l'eternità.
Ora, premesso che, per mia educazione e cultura, se un paese democratico (e, anche se con curiose sfumature, gli USA lo sono) ha un codice legale da rispettare, e tu non lo rispetti, ne devi pagare, in modo equo (macchè pena di morte...), le conseguenze.
Premesso anche che se un altro paese chiede la tua estradizione, il tuo primo pensiero di innocente paladino senza macchia dovrebbe essere quello di andare lì e difenderti, non di chiedere (con quale dirittto?), che tale paese a sua volta non ti spedisca verso il lupo cattivo.
Fatte queste premesse, leggo con curiosità, qualche notizia nei confronti dei nuovi difensori del suddetto Cavaliere della Verità, ovvero l'Ecuador; e quindi apprendo che:
A. Nel rapporto 2012, Human Right Watch, l'ong che monitorizza i diritti umani nel mondo, denuncia che in Ecuador «chi offende i funzionari governativi», a cominciare dei giornalisti, rischia «la prigione da tre mesi a due anni».
B. Dal 2008 «18 giornalisti, direttori o editori» hanno subito questo trattamento, secondo l'ong locale Fundamedios. Il capo dello stato è riuscito a far condannare a tre anni di galera l'editorialista Emilio Palacio del quotidiano d'opposizione El Universo. Per un articolo giudicato diffamatorio Palacio ed altri tre giornalisti dovranno sborsare 40 milioni di dollari, una cifra esorbitante.
C. Per rispondere alle critiche il governo obbliga le tv ad interrompere i programmi trasmettendo le cosiddette «cadenas» degli aggressivi spot propagandistici.
D. Amnesty international ha pure denunciato l'Ecuador di criminalizzare le pacifiche proteste degli indios con accuse di «terrorismo».
E. Il presidente socialista Correa sta mettendo nel mirino anche le ong, come la stessa Wikileaks, accusandole di «destabilizzazione».
Ma uno degli aspetti più curiosi è che proprio dai cablogrammi segreti del Dipartimento Usa, resi pubblici da Assange, risultava che Correa avesse nominato un capo della polizia corrotto. Il presidente ha fatto il diavolo a quattro finendo per espellere l'ambasciatrice americana rea di aver scritto il cablo a Washington. Poi ha proibito ai militari a stelle e strisce di utilizzare una base per il controllo dei narcotrafficanti ed infine diventa protettore di Assange.
E allora cosa se ne deduce? Cosa dovrebbero capire, in fondo in fondo, i sostenitori con la mascherina bianca del paladino? Probabilmente che è tutto un gioco delle parti, che anche loro sono pedine inserite in una scacchiera ben più grande delle loro buone intenzioni.
Alla fine, il teatrino messo in piedi da Assange con l'Ecuador è ancora più assurdo tenendo conto del fatto che il fondatore di Wikileaks non verrà spedito negli Usa. Infatti, il ministro degli esteri di Stoccolma, Carl Bildt, ha dichiarato al Financial Times: «Non estradiamo in paesi che applicano la pena di morte». In pratica «è assolutamente impossibile», secondo l'esponente del governo svedese, che Assange finisca dalla Svezia agli Stati Uniti.
Forse ci penserà l'Ecuador se cambiasse di nuovo alleanze

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