domenica 11 novembre 2012

Stars & Stripes

Bastano tre giorni per giudicare un Paese? Ovviamente no, specie quando questo ha una valenza mondiale assoluta e un nome roboante come Stati Uniti d'America. Però è interessante condividere alcuni brevi scorci, scatti in movimento di una veloce trasferta oltreoceano.

Con la Lufthansa si atterra a Washington in perfetto orario, ma se non si è lesti e scattanti, ci si ritrova in fondo alla fila per la dogana: questo significa trovarsi in coda a qualcosa come 5/600 persone, incolonnate in un'interminabile serpentone, che finisce di fronte al desk di 5 o 6 annoiati funzionari doganali, che devono per missione spendere almeno 3 minuti del loro tempo a fare domande, prendere impronte digitali e fotografie a ciascuno dei suddetti malcapitati; basta fare due conti, ed ecco il risultato di 1 ora e 45 minuti interminabili, in questo stanzone di una moderna Ellis Island; terminata questa tortura, si afferra il passaporto dalla mano del vigile doganiere, e si scatta veloci verso il volo di coincidenza, si gira l'angolo e... sorpresa! Un'altra lunga coda verso i famosi Body Scanners: braccia alzate come un criminale, messo a nudo centimetro per centimetro... La rabbia dell'aver perso la coincidenza per Philadelphia (ed i bagagli, ma questa è colpa stranamente dell'usualmente infallibile vettore tedesco), quasi mascherano la constatazione che questo grande Paese ha ancora una paura fottuta!

Appiedati a Washington, e con 250 Km che ci separano dalla meta finale, Philadelphia, noleggiamo una macchina, e ci infiliamo nel traffico labirintico delle Highways: tutti in fila a 65 miglia orarie, circa i 90 delle nostre superstrade, intervallate da caselli che accettano solo monetine (che non abbiamo) e non carte di credito (al collega arriveranno postumi una 20ina di dollari caricati sul conto della macchina, mica male per i kilometri fatti!): nonostante la profusione di corsie, catrame e cemento, anche l'Italia, con i suoi Telepass e i caselli automatici che accettano di tutto, pure le carte-soci Coop, sembra avanti anni luce.

Arriviamo a Philadelphia alle 10 pm (all'americana), lasciamo la macchina alla Hertz, e entriamo in aeroporto; dobbiamo cercare il modo di farci mandare i bagagli in Hotel il giorno dopo: la scena è desolante... Ci chiediamo se ci sia stato un allarme bomba, uno sciopero generale, visto che tutto è deserto, i grandi locali sono completamente vuoti, e chiedere agli inservienti di colore armati di spazzolone ovviamente non serve a niente... Ma alle dieci di sera, anche Peretola con il suo scarsissimo traffico aereo ha ancora funzionari ai "Bagagli Smarriti".


Conclusa la prima giornata lavorativa, recuperati i bagagli (non prima di aver percorso in lungo e in largo l'aeroporto in cerca di una rassicurante uniforme Lufthansa), andiamo a cena, ci dicono, in uno dei risto-grill più rinomati della zona per l'ottima carne. L'ambiente è enorme, e ricorda le balere in cui coppie di ballerini in stivali, camicia a quadri e cappellone alla texana si sfidano a colpi di tacco; ma lo stanzone è semivuoto... Ma certo, è l'Election Day, e probabilmente son tutti incollati alla TV per vedere la versione americana delle vecchie bandierine di Emilio Fede. Chiedo un filetto al sangue, mi portano un filetto per i miei gusti stracotto, circondato da salsine e patate in diverse fogge. Accidenti, anche in questo l'Italia, Firenze con la sua Fiorentina, sono irraggiungibili!

Ultimo giorno, ci avanza un'oretta e mezzo prima del volo, per un salto in Philadelphia down-town; saltiamo su un Taxi, e chiediamo all'autista di suggerirci un paio dei migliori scorci della città, visto il poco tempo a disposizione; risultato: prima tappa, la Liberty Bell e la Indepence House ("Qui hanno girato 'Il Tesoro dei Templari', con Nicholas Cage...", ci ricorda); seconda tappa, la scalinata di Rocky: proprio così, nonostante si tratti di una imponente scalinata alla fine di uno maestoso viale, che porta al bellissimo edificio neo-classico del Museo di Arte Moderna, anche sulle cartine si chiama "Rocky Steps"; a lato c'è la statua del  noto pugile italo-americano, in cima alla scalinata c'è il calco in bronzo delle sue suole e il suo nome inciso nella roccia... peccato che tale illustre personaggio sia solo di fantasia! E questa sarebbe una delle città storiche degli USA? Questo è quanto di meglio sa offrire? Italia avanti di diverse incollature, non deve nemmeno sudare per tagliare il traguardo in testa!

Salgo sull'aereo un po' perplesso da questo grande paese, e lo sono ancora di più guardando in basso mentre sorvoliamo Washington: vedo una sterminata periferia, con villette (piccole regge per dire la verità) immerse nei boschi del Disctrict of Columbia, circondate da prati curatissimi e piscine, da High School con l'immancabile campo da football con lo stemma stampigliato sul sintetico; ma dove sono la povertà, i ghetti, la crisi?... Ah no, c'è, ci sono eccome: mentre chiudo gli occhi e il sonno ristoratore sta per arrivare, ricordo il giorno prima, quando nella hall del nostro Hotel abbiamo incrociato decine di giovanissimi rappresentanti delle classi povere, quei neri, portoricani, indiani, con finte collane d'oro, vestiti e scarpe sformati, tante volte visti in video-clip e film, qui spaesati e per niente spavaldi, a volte accompagnati addirittura dai genitori; entravano tutti in un'ampia sala conferenze, il cartello fuori diceva "Job Fair" (leggi colloquio); erano tanti, l'ambita posizione lavorativa probabilmente una sola... tutti in fila per un posto in un negozio di mangime per animali.





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